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Welcome in NY
L'origine della skyline, il profilo della città che si staglia contro il cielo, soggetto tra i più richiesti delle cartoline di New York City, ha origine alla fine dell'ottocento, quando l'approccio alla città dalle vie di comunicazione stradali, ferroviarie e marittime offriva all'occhio dell'uomo una nuova prospettiva della città in espansione. L'artista, il fotografo, ma anche il comune cittadino, percepiva che la città cambiava, che l'intero mondo stava cambiando, puntando semplicemente lo sguardo verso l'alto, dove le cime dei grattacieli conquistavano giorno dopo giorno nuovi spazi.
Dopo lo sviluppo verticale di New York City la skyline divenne l'immagine simbolo delle città moderne, insieme alla vista a volo d'uccello o alla veduta aerea che possono comunque essere considerate varianti della skyline originale.
Dai tempi della veduta di Wall Street del 1834, osservata dagli 85 metri della Trinity Church dove il disegnatore Hugh Reinagle, con una certa intuizione per la spettacolarità agevolata dal paesaggio nevoso, si aprì la strada al punto che che se ne potessero osservare entrambe le facciate degli edifici, si è passati in breve alle prospettive aeree, sempre ritratte dalla Trinity Church, di Edmond B. Purcell che con la sua New York City nel 1849 diede un altro impulso verso una nuova iconografia cittadina. Pochi anni dopo la vista della città si offrì agli occhi de newyorchesi in maniera inedita grazie da quel gigantesco cavalletto che era il pilone del ponte di Brooklyn, tappa obbligata di fotografi e artisti catturati dalla prospettiva urbana come modello d'arte.
New York City, 1904. Una delle prime cartoline della skyline di New York City vista dal North River (la parte alta del fiume Hudson).
Il paesaggismo americano degli anni precedenti, fatto di colline, fiumi e praterie, aveva lasciato il posto all'architettura. Siamo ancora in una fase precedente all'avvento della skyline moderna, la cui nascita è legata al magazine Harper's Weekly dell'11 agosto 1894 che propose ai suoi lettori un'illustrazione del profilo della City vista dalla parte a nord del fiume Hudson (North River) ma che ancora nessuno chiama skyline. L'introduzione del termine nel linguaggio, anche se nella forma di sky-line, con il trattino a separare ancora gli edifici dal cielo, avvenne sulle pagine dell'edizione del 3 maggio 1896 del New York Journal, il quotidiano pubblicato dal magnate Randolph Hearst.
La dicitura resterà separata anche sulle cartoline, pur perdendo presto il trattino per un più elegante Sky Line, sino a dopo la prima guerra mondiale, quando il profilo di New York e il termine che lo definiva assumeranno un valore concettuale assoluto e internazionale, del quale se ne approprieranno anche i dizionari e le città di tutto il mondo.
Giuseppe Giacosa, scrittore e autore teatrale di fine '800 (Una Partita a Scacchi, 1871, Come Le Foglie, 1894) così descrisse nel suo Impressioni d'America (1899) la vista che gli si offrì al suo arrivo nella baia dell'Hudson: "Quel mondo vi sta addosso e si perde negli orizzonti. Mentre le cose vicine svegliano ed appagano mille curiosità specifiche, le remote vi invogliano a ozi contemplativi. Fino dove l'occhio giunge, da ogni lato, nello spessore del litorale, sopra l'immenso corso del fiume Hudson, su pel braccio di mare dell'East River, è uno accavallarsi di giganteschi edifici che rappresentano nelle nebbiose lontananze un vario ondeggiare di colli digradanti al mare. Quei palazzi hanno di lontano la gravità riposata delle cose eterne e sembrano nati con il suolo. Io non vidi mai in altri luoghi l'opera dell'uomo, sola e scompagnata da ogni elemento naturale, naturalizzarsi così interamente e darmi un così pieno inganno di paesaggio."
Giacosa, uomo di teatro e cultura nato e vissuto a Colleretto Parella nei pressi delle colline di Ivrea (TO), grande appassionato delle valli valdostane, parla di "inganno di paesaggio" in senso positivo, come se l'uomo a New York City avesse sfidato la natura in una gara di bellezza, quasi sfiorando la vittoria.
Quella veduta di New York, la New York sempre in cambiamento, divenne argomento preferito non solo degli scrittori ma finì nei testi delle cartoline come in quella spedita da Miss Gillis Pills l'11 dicembre del 1917 alla sorella Estella a Rochester, cittadina che dista 411 km. dalla metropoli. Tra i vari argomenti (shopping, bontà del cibo...) la signorina Gillis ci tiene a scrivere "Cara sorella, domani sarò di partenza per tornare a casa, spero che anche tu possa trovare il tempo di venire qui ed ammirare questa splendida vista." La skyline, il trionfo dell'architettura della città verticale era oramai un patrimonio popolare dell'America e un sogno per gli stessi americani.
Stampe e cartoline della skyline erano molto popolari, ma per giungere al primo tentativo di riproduzione fotografica integrale c'era ancora da aspettare.
Le macchine fotografiche dell'epoca non disponevano degli obiettivi e dei filtri necessari a rendere il profilo della città in tutta la sua estensione prospettica, cosa che invece i disegnatori di Harper's Weekly continuavano a fare con successo, tanto che le illustrazioni di quel genere si ripetevano quasi su ogni numero, con arricchimento di puntuali didascalie in corrispondenza di ogni edificio raffigurato. Il ritmo con cui New York stava crescendo, nel senso quasi letterale del termine, in quegli ultimi tre-quattro anni del 1800 era talmente veloce che i disegnatori faticavano a proporre ai lettori immagini sempre aggiornate. E' interessante notare come in questo tipo di raffigurazioni e, in seguito, anche nelle fotografie dalle quali sarebbero derivate le cartoline, è rimasta ferma la volontà di presentare l'unico elemento naturale rimasto a fare da contrasto alla geometria dei palazzi: il fiume Hudson in movimento. La presenza di quelle acque non distrae l'occhio dall'architettura, anzi. In un certo modo ne armonizza il contesto e ne incrementa il mito, ricordando all'osservatore che è su un'isola che sta crescendo il fenomeno architettonico più emozionante del secolo.
Quello che sorprendeva, e ancora oggi affascina, era l'aspetto caoticamente ordinato delle costruzioni protagoniste. La discontinuità architettonica di questi giganti dall'anima di acciaio, che vivono ognuno di vita propria, offre una visione d'insieme dinamica instillando a chi guarda la sensazione di assistere a una competizione per chi arriva più vicino al cielo.
La bellezza di questo spettacolo era accentuata in molti casi dall'uso dei mattoni in cotto che non solo erano ignifughi e facilmente modellabili, ma anche in grado di sostituire la muratura con costi molto inferiori.
"Ci stiamo abituando un pò alla volta alle costruzioni di grande altezza, e così anche le idee convenzionali, nate da ciò che siamo abituati a guardare, un pò alla volta cambiano".
Questa frase apparsa su Harper's Weekly nel 1894, a commento di quella prima illustrazione della skyline cui si accenava prima, suonò quantomai profetica per una città che non solo cambiava, ma si evolveva e con essa modificava lo stesso concetto di "grande città", che sino ad allora guardava all'Europa e dall'Europa, con la classica cattedrale in centro a dominare le abitazioni belle, a volte sontuose, e ma dimensionalmente rispettose dello spazio verticale.
La rivoluzione fotografica arrivò con il nuovo secolo e con essa la skyline finì negli obiettivi. Il 1900 segnò l'introduzione della riproduzione fotografica sui giornali e nel decennio successivo pionieri della fotografia urbana come Alfred Stieglitz, Edward Steichen, Alvin Langdon Coburn e il parigino Paul Havilland, pur con stili differenti, misero la città al centro della loro fantasia d'autore.
Coburn, in particolar modo, dopo aver viaggiato nel 1911 in lungo e largo per l'America e aver scattato centinaia di foto nel Grand Canyon in Arizona, tornò alla vita cittadina con l'occhio pronto a cogliere i dislivelli dei grandi spazi, a raccontare con l'obiettivo la città con inquadrature dall'alto e prospettive mozzafiato.
Molti di questi fotografi scorrazzavano per la città in sella alla loro bicicletta, a volte già accessoriata di macchina fotografica, con l'ansia e il desiderio di raccontare la metropoli che cresce, un soggetto tutto nuovo rivelato dal volto di un bambino figlio di immigrati come dalla grandezza dei grattacieli che spuntavano uno dopo l'altro.
Skyline fotografica di New York City del 1910.
Il frutto del loro lavoro finì presto sulle cartoline illustrate e ritoccate, invenzione quasi contemporanea all'arrivo delle foto sui giornali.
Tra il 1900 e la Prima Guerra Mondiale ci fu una presenza costante delle skyline nella corrispondenza illustrata.
Chiunque, residenti o immigrati poco importa, spediva quel profilo di New York ad amici e parenti che risiedevano negli USA o che fossero sparsi per il mondo, per testimoniare che vivevano lì, persi tra quegli enormi parallelepipedi.
Il passo successivo di quella iconografia sarebbe stato, negli Anni 20, quello di rappresentare la mitizzazione della città del "tutto è possibile", un luogo oltre il fiume dove andava in scena una vita diversa e straordinaria, ma reale, dove le migliaia di cartelli pubblicitari ricordavano al mondo che lì, a New York, si trovava tutto e prima di tutti. Uno spettacolo incredibile in pochi centimetri quadrati affrancati con un francobollo da un centesimo che facevano sognare chissà cosa, ipnotizzando allora come oggi lo sguardo di chi ammirava una cartolina con il profilo di New York City che si staglia all'orizzonte.